Tanti km, paesi, volti, usanze differenti abbiamo ormai sulla pelle di questo viaggio, ma ora siamo li, davanti a noi le due tappe che ci porteranno in alto, alla partenza della Pamir Higway, meta di questo viaggio e luce del sogno di questo inverno.
Gisella mi aveva parlato più volte di queste due tappe come quelle, forse, più difficili.
Avremo di fronte circa 600 km di sterrato, alcuni di questi difficili, e la paura di non essere in grado di superarli c'è sempre.
Sappiamo che ci sarebbe una seconda via, meno difficile ma più lunga.
Di questa seconda opportunità abbiamo parlato a lungo durante le fasi di definizione delle tappe, ma siccome siamo fatti come siamo fatti......e non ci piace fare ciò che la maggior parte delle persone farebbe......avevamo già all'epoca scelto per l'opzione " complessa "
La suddivisione dei km che si separano da Khorog in due differenti tappe, non è casuale.
Chiunque abbia già percorso quella strada ci informa che in un giorno solo, seppur siano meno di 600 km, non ci si riesce.
Persin la Lonely Planet, guida turistica che Gisella sfoglia giornalmente, cita testuali parole " con un mezzo a 4 ruote motrici di nuova generazione......occorrono almeno 16 ore per percorrere il tratto di strada fra Dushanbè a Khorog ".....
Noi di ruote, ne abbiamo solo due ....ma di motrici......solo una......e sappiamo bene cosa significhi trovarsi in due, carichi come somarelli, sulle strade impervie.
Il mattino del 15 Agosto quindi, mentre forse molti di voi si preparavano ad una giornata al mare con tanto di festa e battaglia di gavettoni.....Gisella ed io lasciamo il parcheggio del B&B con quell'ansia, mista a paura che mai ci deve abbandonare al fine di essere sempre molto attenti sulla strada.
Iniziamo a salire ed in meno di 100 km diciamo addio all'asfalto.......
La strada sale e sappiamo che non cesserà di farlo sino al raggiungimento di un passo posto a 3200 metri di altezza.
Le nuvole iniziano a stringersi attorno a noi come mani intorno alla gola, nel caso di pioggia la situazione diventerebbe ancora più complessa.
Non molliamo e verso le ore 16, ora locale, arriviamo in cima.
L'aria è finalmente fresca, il vento passando nell'erba come una mano nei capelli, la piega prima in un senso e poi nell'altro creando sibili che rompono il silenzio.
Siamo soli lassù, nessuno a perdita d'occhio, nessun mezzo in lontananza che in qualche misura cerchi di arrampicarsi sulle ripide salite del passo.
Ho tempo per godermi un sigaro, prendere fiato e catapultarmi insieme a Gisella giù a capofitto sui tornanti ripidi e disconnessi della strada che porta a Kala-i-Kumb, tappa designata per la notte.
La discesa è mozzafiato, la ripida sequenza di tornanti incastonati sulle pareti della montagna rendono il panorama sotto di noi inimmaginabile. Precipizi di centinaia di metri si aprono dinnanzi alla ruota anteriore della moto, con Gisella che si sporge per fotografare il tutto ed io che cerco di tenere gli occhi sulla strada in quanto, una regola importante da non dimenticare mai cita che " la moto va dove gli occhi guardano......"
Da dentro il mio casco sento Gisella in un continuo " guarda che bello a destra.....guarda che splendore a sinistra...." Peccato che io, non riuscendo a svincolare i due occhi come fossi un gufo, sono costretto a puntare quel minuscolo decimetro di pista dove transitare come un equilibrista con le due ruote lasciandomi indietro chissà quale spettacolo.
Arriviamo al paese e ci mettiamo subito alla ricerca di un posto dove poter riposare.
Non ci sono hotel ovviamente, bensì delle così dette Home Stay, ovvero case con camere dedicate a chi viaggia.
La situazione è di quelle dove occorre una buona dose adattamento, ma Gisella ed io, di quella, ne abbiamo ormai accumulata da vendere.
Troviamo posto da un signore di una certa età, simpatico nel suo essere molto poco loquace.
Ci fa vedere la camera, due letti concavi di quelli che una volta coricato non potrai cambiare posizione sino al mattino, e il bagno posto dall'altra parte del cortile.
Mi piace, anche perché così avrò modo di dare una pacca sulla spalla alla nostra moto quando di notte dovrò andare a fare pipì.......
Ceniamo nell'unico ristorante del posto.
Mangiamo l'unico piatto disponibile nell'unico ristorante ......un misto di riso,polpettone di montone e un uovo sopra.
Il mattino arriva presto, stanchi come siamo, con la scoperta di nuovi muscoletti che non sapevamo di avere solo perché non avevano ancora manifestato il loro indolenzimento in altre occasioni prima.
Carico la moto sotto un cielo sgombro di nubi, sorrido al nuovo giorno e da li a poco anche Gisella è pronta.
Partiamo e ci lanciamo subito sulla famigerata M41 che scende verso sud.
Ci imbattiamo presto nel nostro amico, il Sig. Gunt, che per colore, portata, impetuosità e fragore è sicuramente ciò che di più impressionante abbia mai visto.
Il Gunt è il fiume che separa il Tajikistan dall'Afganistan......e sarà lui a tenerci compagnia per tutto il giorno con la sua impetuosa presenza sul lato destro della moto a pochi cm dalle mie ruote.
La strada, ammesso che sia possibile definirla strada, si muove come incollata sulla pareti delle montagne che muoiono nel Gunt, a destra l'acqua che, spaventosamente si increspa vorticosamente, ancora più in la l'Afganista, le sue case e chi le occupa.
I bambini, bambini come tutti i bambini, che corrono verso le sponde del fiume, rischiando di essere travolti, corrono e si sbracciano cercando di essere a noi più visibili.
Pochi passi dietro le donne, incappucciate nel loro burka azzurri,segno di una legge che, pur essendo ai miei occhi inconcepibili, le rende ancor più donne per il loro saper accettare dignitosamente quanto da altri imposto.
Poi gli uomini, schiavi di un loro stesso modo di scindere e dividere gli esseri viventi ponendo e relegando le donne stesse in ultima posizione.
Ci soffermiamo più volte lungo le rive del Gunt ad osservare quei bambini, a rispondere ai loro saluti salutando anche noi con un caldo ma, purtroppo lontano ciao.
Alzo la mano saluto e penso, penso tanto.....
Come un cerchio concentrico che roteando su stesso cavità nel mio cervello penso e mi chiedo perché....
Perché un fiume, solo un fiume, possa determinare e dividere in modo così profondo culture.
Perché io, e permettemi....anche voi tutti, siamo nati nati dall'altra parte di quel fiume che ci rende liberi, ci permettere di credere in un dio, di non credere affatto, di bere, di fumare, di viaggiare.....
Ogni secondo di ogni giorno dovremo pensare e dire grazie di questo, senza mai dimenticarci di alzare la mano destra e dire ciao a quel bambino che, anche se per pochi istanti e poi mai più......ci vedrà passare al di la fiume......e per farlo, rischierà la vita, solo per un ciao, solo per un caldo sorriso che in qualche misura renda il suo giorno, uguale da millenni e forse uguale per millenni, un giorno speciale....
Ciao, ciao, ciao bambino Afgano, qualsiasi sia il tuo nome !
Arriviamo a Khorog, e sarà la notte prima dell'esame......da domani si sale, si va sul Pamir.....
L'ho sognato, l'ho visto a occhi chiusi ma ora è giunto il momento di aprirli e viverlo.
Non possiamo pubblicare il Post, ma quando lo faremo, e lo faremo, sarà perché ne saremo usciti, e sarà il momento per raccontare.....
Ora è il momento di riposare.
Riepilogo tappe:
Dushanbè - Kala-i-Kumb
15 Agosto, km odierni, 290
Altitudine massima 3200 metri
Kala-i-Kumb - Khorog
16 Agosto, km odierni 254
Mai smettere di avere avere paura,
Proprio lei è quell'energetico che ci aiuta a vincere se stessa.
Io ne ho, ma domani la sconfiggerò !
Buona notte
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